Sunday, May 19, 2013

Va tutto bene mamma. Sanguino soltanto (quarta parte)

Appunti nel caos per un libro che non uscirà mai dedicato alla più grande canzone rock di sempre


Nel tour successivo, quello straordinario, diviso in due parti, 1975 e 1976,della Rolling Thunder Revue dedicato al bicentenario della nascita degli Stati Uniti e al tentativo di far rivivere lo spirito di innocenza e di promessa degli anni 60 (proprio Dylan che dagli anni 60 aveva sempre cercato di sfuggire), It’s Alright Ma viene eseguita pochissime volte. Esattamente una volta sola nel 1975 a Providence, e tre volte nel 1976, a St. Petersburg, Orlando e Mobile. Troppo difficile da eseguire, troppo estenuante da proporre, fuori contesto in quella celebrazione di una promessa, di un rinascimento, come Allen Ginsberg avrebbe definito quel tour? Di fatto in quelle poche esibizioni il primo a non essere convinto del fatto di doverla eseguire è Dylan stesso, che la canta annoiato, ripetendo i cliché del 1974, facendo finta di essere incazzato quando incazzato non è e cercando l’applauso facile al verso fatidico. Quello del presidente.

Non lo sappiamo, ma sta di fatto che tornerà a far capolino nel 1978. Nel tour più glam della sua vita, perfetta messa in scena della decadenza anni 70 del mondo delle rock star, con arrangiamenti a metà strada tra i Queen e una delle tante hard rock band del periodo, It’s Alright Ma diventa una scoppiettante apocalisse sonica. Una apocalisse sostenuta da abbondanti dosi di cocaina, ovviamente. Quello che il testo può significare non ha più importanza per Dylan o per gli ascoltatori e d’altronde sarebbe difficile, anche se ci furono, sentire applausi di pubblico alla frase sul presidente degli Usa in quel cataclisma di suoni debordanti. A Dylan interessa la musica, in questo tour, non il messaggio. Ma siccome la musica è già messaggio, va bene anche così. It’s Alright Ma cerca di esplorare le vie che un arrangiamento full band potrebbe offrire. Sembra non ne avesse molte di possibilità da offrire, se per il resto della sua carriera Dylan deciderà di eseguire questo pezzo nuovamente in acustico o quanto meno semi acustico.

Da allora con la ovvia pausa del 1979-80 in cui Dylan dal vivo esegue solo pezzi dei suoi album della conversione, It’s Alright Ma con più o meno frequenza non mancherà mai più nei concerti dell’artista. La eseguirà così tante volte infatti da trasformarla spesso e volentieri in un cavallo morto (di noia). Ma ci saranno le eccezioni ovviamente.
Già nel 1981 la canzone torna a essere eseguita con i suoi classici, in una versione pomposa, esagerata, addirittura festaiola.
Ma sarà nel 1984, vent’anni esatti dopo le prime esecuzioni, che il brano tornerà a splendere di nuova vita, quasi quella definitiva. Nel contestato tour solo europeo di quell’anno Dylan nei brevi intermezzi acustici eseguirà alcune delle sue migliori esibizioni live di sempre. Esecuzioni di fascino altissimo, capaci di trasformare gli stadi dove si esibisce in piccole e fumose coffee house. Non fa eccezione It’s Alright Ma, che è adesso piena di mestizia. Non più rabbia, ma affetto: i peccati che questa canzone denunciava come mortali e quindi da sfuggire se possibile adesso sono elencati con l’umana consapevolezza che tanto siamo tutti peccatori. Se mai, adesso, questa è una canzone di denuncia contro se stessi. Il presidente degli Stati Uniti, nudo, viene ovviamente applaudito di nuovo fragorosamente, ma non ha poi molta importanza. Va tutto bene mamma. È la vita, la vita soltanto.

Ci saranno altre belle esecuzioni di questa canzone, ad esempio nel tour del 1986 con Tom Petty e i suoi Heartbreakers, in splendida e acustica solitudine. Immortalata nel video live a Sydney appunto del 1986, è una feroce e assatanata meravigliosa versione, che non fa sconti a nessuno.



Quando comincerà ad apparire però nel corso del Never Ending Tour, con accompagnamento di batteria spazzolata e basso acustico, la maggior parte delle volte sarà una noia mortale, per lui e per gli ascoltatori. Fino a quella sera dell’ottobre 1992 quando, davanti a migliaia di dark eyes ai suoi piedi, Bob Dylan riporterà tutto a casa. E It’s Alright ma verrà consegnata alla storia nella sua versione definitiva: l’implacabile, sanguinante, straziante profezia di un rabbino cacciato dalla sinagoga. Un lungo, lento e lugubre canto di morte. Amen.




1 comment:

Andrea Peviani said...

Gli appunti sono stati eccellenti. Il libro potrebbe essere un piccolo classico di storia rock.
Off topic: grazie per aver scritto quel pezzo su Song for Juli, un paio d'anni fa. L'ho trovato usato ed e' splendido. Strano come certe cose rimangano culti semi-dimenticati...

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